Questa domenica è il 29 agosto, giorno in cui la liturgia di solito ci fa celebrare la memoria del Martirio di San Giovanni Battista, ma essendo domenica, tale memoria viene spostata quest’anno al primo settembre. Per il rito ambrosiano la memoria del martirio del Precursore segna anche l’inizio di una nuova tappa del tempo dopo la Pentecoste, portando la nostra attenzione alla radicalità della vita evangelica, anche quando seguire il Signore Gesù richiede sacrificio e rinuncia.
Le letture di questa domenica sono molto forti per la testimonianza, nella prima lettura, dei sette fratelli Maccabei, i quali, sostenuti dalla loro madre, non esitano a dare la vita pur di rimanere fedeli al Dio d’Israele; poi per l’incoraggiamento, che Gesù dà ai suoi discepoli, a non avere paura “di coloro che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”.
Gesù non imbroglia mai, non suscita illusioni e non conquista la sua simpatia proponendo una vita facile, anzi, invita i suoi discepoli a perdere la vita per causa sua e del Vangelo, rassicurando che là nel donarsi un uomo e una donna ritrovano se stessi. Perdere la vita significa non tenerla per sé, perché non porterebbe alcun frutto, ma solo nel donarla l’essere umano trova la vera gioia.
Il dono della fede, che il Signore ci offre sembra più grande delle nostre possibilità ed anche san Paolo lo riconosce, quando scrive ai Corinzi, affermando che noi lo conteniamo nella nostra esistenza simile a vasi di creta. Come infatti potremmo vivere ciò che domanda Gesù? Come avrebbero potuto vivere il Vangelo quegli apostoli fragili, paurosi, pieni di difetti? San Paolo ci dice un’altra cosa bella: “noi siamo deboli, eppure ci è dato un tesoro (la fede in Cristo), perché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio e non viene da noi”. Questo pensiero ci tranquillizza, in quanto il Signore Gesù ci chiede a volte cose che sembrano impossibili, ma che possiamo realizzare con la sua forza e non con la nostra. La Chiesa è viva non per la potenza dei cristiani, ma per la potenza di Cristo che opera con il suo Spirito attraverso uomini e donne apparentemente fragili, che in molti casi hanno subito il martirio lasciando, però una scia di grazia portatrice di frutti.
In questo mese di agosto, che sta per finire, due figure splendide sono state ricordate nella liturgia: Santa Teresa Benedetta della Croce e san Massimiliano Kolbe, ambedue uccisi nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, forti della fede nel Signore Gesù. Va tenuto presente che martire è colui che testimonia la fede nel Signore Gesù, con eroismo, non necessariamente fino a morire a causa di altri, ma senza dubbio, con la perseveranza nel vivere i valori evangelici, costi quel che costi. Il martirio cristiano ci può aiutare a comprendere e a sostenere con la preghiera anche coloro che, in nome della libertà e dei diritti umani, lottano e soffrono in diverse parti del mondo. Non possiamo, infatti, chiudere gli occhi, in questi giorni, di fronte al dramma afgano.
Affidiamo chiunque lotta per la giustizia e la pace all’intercessione della Beata Vergine Maria, che questa domenica veneriamo con il titolo della Madonna della cintura.
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Opera: Marko Ivan Rupnik, Nozze di Cana – Mosaico – Cappella della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Roma