Le pagine del Profeta Isaia ci parlano del Servo di Jahvè che prefigura in sé i segni, i sentimenti e la vicenda della Passione di Gesù: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso”.
E nel secondo brano: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato…per le sue colpe noi siamo stati guariti”.
In questo Servo noi vediamo Gesù, nel mistero della sua obbedienza e dell’offerta della sua sofferenza al Padre. Potremmo chiederci se davvero tutto ciò abbia un valore o è utile a qualcosa.
Terribile è ciò che è descritto dall’evangelista Matteo alla morte di Gesù: il cielo si squarcia, la terra si scuote, le rocce si spezzano, i sepolcri si aprono. È l’immagine della lotta tra le forze del bene e del male, tra la vita e la morte. È quella lotta che tutti noi combattiamo nella nostra esistenza e che vediamo nei fenomeni sociali, politici e cosmici.
Possiamo pensare che tutto il male si concentra nella passione di Gesù, il quale consegna tutto al Padre, così che la sua morte arresti ogni male e ogni morte facendo invece trionfare l’amore di Dio.
Leggiamo in questo modo l’affermazione del centurione e di coloro che facevano la guardia a Gesù: “Davvero costui era Figlio di Dio”. È una professione di fede fatta da un pagano, da soldati che probabilmente avevano insultato e trattato male Gesù. Che cosa era successo? Il centurione era stato testimone delle accuse e dei maltrattamenti subito da Gesù, ma anche dello stile con cui Gesù ha affrontato tutto ed era quello dell’umiltà, della mitezza, della pazienza, della capacità di perdono e della bontà.
Lo sguardo su Gesù è ciò che tutti siamo chiamati a vivere il Venerdì santo, cristiani e non cristiani. Chiamati a non passare oltre, a fermarsi e a contemplare.
Quest’anno, forse, abbiamo un’occasione in più per per non essere di fretta, per imparare a comprendere che la morte di Gesù è una rivelazione straordinaria dell’amore che tanto ricerchiamo e che va oltre le nostre paure, i nostri sentimenti, a volte, superficiali, crudeli, cinici.
Lo sguardo su Gesù ci fa entrare in un mondo nuovo, in una prospettiva nuova anche nei confronti di Dio, al quale rimproveriamo spesso di essere lontano dalle vicende umane. Egli avrebbe potuto annientare il male, invece vi è entrato con l’umanità del suo Figlio, perdonando e portando su di sé le conseguenze del male per redimerlo nella propria carne crocifissa.
La croce ci insegna che il male non viene eliminato, ma trasformato in bene. È il cammino chiesto a ciascuno di noi: stare con Gesù, condividere la sua passione per entrare nelle trame del male di questo mondo per trarne il bene della fede, della speranza e della carità.
Fermiamoci, perciò, a contemplare Gesù crocifisso, per imparare da Lui ad assumere i suoi sentimenti, che sono quelli dell’uomo rinnovato e ritrovato: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2), dal tradimento all’amicizia, dal rinnegamento al perdono, dall’odio all’amore, dalla menzogna alla verità. Da ciò comprendiamo che la morte in croce non è stata vana, perché è passaggio alla vita nuova, possibile a tutti: credenti e non credenti.