Nella proposta biblica di queste domeniche dopo Pentecoste vediamo aprirci lo sguardo sugli avvenimenti che hanno accompagnato la storia dell’uomo fin dall’origine del mondo, con le gioie, le fatiche e le ferite segnate dalle relazioni con Dio, con il creato e con gli uomini.
Veniamo così a scoprire che la Parola di Dio è attualissima, perché parla alla nostra vita, al nostro modo di metterci in relazione con il Dio creatore, con le cose e soprattutto con gli altri, perché da come noi ci relazioniamo ne derivano conseguenze positive o negative.
Nella liturgia della Parola di questa domenica ci troviamo di fronte ad uno dei fatti più tristi dell’umanità nascente: l’uccisione di Abele da parte del fratello Caino. È una pagina drammatica dell’umanità, che si è ripetuta e che si ripete ancora oggi, suscitando tristezza e punti di domande leciti.
Ma che cosa ha spinto Caino ad uccidere Abele? L’invidia per l’accoglienza dell’offerta compiuta da Abele e il rifiuto da parte di Dio di quella compiuta da Caino, perché vissuta senza la partecipazione del cuore e senza agire bene. C’è una parola che Dio dice a Caino che mi fa sempre riflettere: “Se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta”. Quel verbo “accovacciare” mi impressiona molto, perché mi da l’idea di qualcosa di subdolo, di nascosto, sempre pronto a saltare fuori anche quando meno te lo aspetti.
Per tale motivo deve essere grande la vigilanza dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti, specialmente quando insinuano il sospetto nei confronti di chiunque: lì si accovaccia il male e quando esplode fa danni terribili. L’ostilità di Caino nei confronti del fratello Abele è il paradigma di tante lotte fratricide e di tanti contrasti tra gli uomini, che ancora sono presenti nel nostro mondo.
Ciò che noto, affermo che è un mio parere, è che si sta accumulando nella nostra società una forza di sospetto e di paura nei confronti del diverso da noi, qualunque esso sia, da sentirlo in ogni caso come nemico e questo ritengo, a lungo andare, sia pericolosissimo.
Gesù, nella sua predicazione, ha invitato più volte ad uno stile di attenzione nelle relazioni umane, evitando gli eccessi della parola e delle azioni, ma tutto ciò è possibile se si ha un cuore pacificato e benevolo nei confronti degli altri, i quali, nell’ottica della paternità di Dio, sono da considerarsi tutti fratelli.
L’impegno che ne consegue ci è dato da un Gesù categorico: “Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello, e poi torna ad offrire il tuo dono”. Queste parole di Gesù sono un forte richiamo tutte le volte che partecipiamo alla S. Messa, tanto più che nella liturgia ambrosiana sono ripetute prima dei riti di offertorio, quando viene chiesto di scambiarsi il segno di pace.
Non si può essere indifferenti di fronte a tale gesto, che non è semplice rito, bensì invito alla consapevolezza di un’apertura del cuore all’altro e di una capacità di riconciliazione qualora se ne richieda la necessità.
Il gesto di pace liturgico non può perciò essere staccato dalla vita, così che ogni volta si è sollecitati a guardare dentro di noi, rinnovando desideri e propositi di riconciliazione in famiglia, nella Chiesa e nella società in cui viviamo.
don Sergio