La memoria dei nostri defunti, impegno di amore

In queste prossime domeniche rifletteremo su come vivere il tempo del lutto e l’incontro con la morte attraverso dei testi che proporrò. Infatti è molto importante dare un significato a tutti i gesti (liturgici e non) che noi facciamo/ o non facciamo nei confronti dei nostri cari morti.

L’incontro con la morte è tempo di dolore, pianto, sofferenza, domande, preghiera ma è anche apertura al futuro: un futuro divino di vita con Dio e un futuro umano di consapevolezza del dono di amore che la vita dei nostri cari ha portato a ciascuno.

Ascoltiamo la testimonianza di Giovanni Paolo II, peraltro in una omelia fatta a Milano.

La memoria dei defunti, inoltre, tende a volte a generare una devozione solo intimistica, che non è in continuità con la pietà autenticamente cristiana, con la preghiera della Chiesa, con la celebrazione eucaristica, con l’intensa partecipazione alla vita di fede e di carità di tutta la comunità cristiana.

Carissimi fedeli, perché non chiedere al nostro patrono san Carlo di illuminarci sul significato della morte? Nonostante i quattro secoli che ci separano da lui, egli ha forse la risposta capace di orientare i nostri passi sulle strade del mondo contemporaneo.

Ciò che balza all’occhio, leggendo la sua biografia, è che san Carlo seppe trarre dal pensiero della morte un messaggio per la vita. È noto che egli prese la decisione definitiva di dedicarsi al servizio di Dio e della Chiesa proprio in occasione della morte del fratello Federico. Essendo rimasto l’unico figlio maschio della famiglia, molti insistevano perché si sposasse e assicurasse una continuità nella discendenza dei Borromeo. Invece proprio la morte del fratello gli aprì gli occhi sulla povertà delle cose umane. Carlo chiese al Papa di essere ordinato presbitero, fece un corso di esercizi spirituali e cominciò risolutamente nel cammino della santità, in cui perseverò per tutta la vita.

Anche dopo la peste, che si abbatté su Milano nel 1576 mietendo migliaia di vittime, san Carlo si rivolse ai milanesi con un “memoriale” in cui chiedeva loro di ricordare il flagello della recente epidemia, apportatrice di sofferenza e di morte, per impegnarsi a cambiare vita. Questa era, infatti, la sua convinzione: la morte deve essere maestra di vita per tutti.

Ma come ciò può avvenire? Come è possibile fare della morte il principio vero e profondo di una vita nuova? Qui è necessario ricordare quell’atteggiamento di san Carlo, che a tal punto ha caratterizzato la sua figura spirituale e ha impressionato i suoi contemporanei, da diventare l’atteggiamento in cui più spesso egli è ritratto, cioè la preghiera davanti a Gesù crocifisso. La morte di Cristo in croce è quella che ha aiutato san Carlo a capire il senso della morte e la possibilità di vita nuova, che dalla morte scaturisce.

La morte di Cristo è il segno supremo dell’amore di Dio per noi peccatori ed è il modello dell’affidamento dell’uomo alle mani del Padre. Per questo è fonte di vita, vittoria sul male e sul peccato, principio di una vita vissuta nell’obbedienza, nella fedeltà, nella dedizione a Dio e ai fratelli.

“Dio è colui per il quale ci affatichiamo – diceva il santo arcivescovo in un discorso pronunciato pochi mesi prima di morire – ; Dio è colui al quale serviamo… O fratelli, o figli, il Figlio di Dio ha fatto e ha sofferto per noi cose molto più grandi… Che cosa, se non l’amore per noi, ha condotto lui, il più bello tra i figli degli uomini, a un tale stato, da non avere né bellezza, né splendore? Ripaghiamo dunque l’amore, con l’amore”.

(Giovanni Paolo II, 2 novembre 1984)

don Cesare

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