Siamo entrati nel tempo dell’Avvento con due obiettivi davanti a noi: il primo è quello della celebrazione del Natale di Cristo, il secondo è il Giubileo che inizierà proprio la notte di Natale, con un tema impegnativo: Pellegrini di speranza.
Di questa speranza si è fatto portavoce il nostro Arcivescovo nell’omelia per la prima domenica di Avvento, che consegno alla meditazione personale di ciascuno.
«La storia è piena di disastri. Forse si può anche dire che la storia dell’umanità è un disastro. I disastri attuali rovinano l’ambiente in cui viviamo, diffondono sentimenti di scoraggiamento tra la gente, suscitano sentimenti di rabbia, abituano all’elenco ossessivo e deprimente dei problemi insolubili. Sembra che la gente di oggi non sappia più rivolgersi a Dio per interpretare la condizione in cui vive.
L’esito di questo pensare senza pregare non è una sorta di coraggioso impegno per trasformare il mondo, ma piuttosto una rassegnazione disperata. In questo contesto apocalittico percorrono la terra, però, i “pellegrini di speranza”, quelli che non si rassegnano ai disastri, quelli che non si accontentano di lamenti e proteste».
Ma come attraversano la storia questi uomini e donne che siamo tutti noi? «I pellegrini di speranza camminano a testa alta, non abbassano il loro volto come schiacciati dalla situazione e dalle notizie deprimenti. Alzano il capo perché vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Anche se la strada è aspra e il contesto ostile, camminano a testa alta, fieri di andare incontro al Signore, e questo mi sembra un elogio affascinante di tante persone che, nelle situazioni conflittuali e difficili, non si arrendono e non si rassegnano. Alzano la testa, guardano avanti, non per distogliere lo sguardo dagli impegni quotidiani e dalle fatiche ordinarie, ma perché hanno una speranza più grande, un punto di riferimento più alto di quello che caratterizza la situazione nella sua drammaticità».
Per il secondo tratto di questi pellegrini, definito «affascinante», il riferimento è all’Epistola agli Efesini con il monito paolino a “comportarsi come figli della luce”.
«I pellegrini di speranza sono luce: non perché siano perfetti, non perché presumano di essere migliori degli altri, ma perché si lasciano trasfigurare dalla grazia di Dio, convertire per essere uomini e donne abitati dalla luce di Dio. Questo autorizza ad avere stima di sé: Ci sono tanti disastri, ma “io non sono un disastro”, perché mi lascio abitare dalla luce di Dio e da questa luce viene un’umanità rinnovata che si allontanata dalla volgarità, dalla banalità, dalle passioni che avviliscono la libertà umana. E, dunque, siamo noi incaricati, con i nostri limiti, di essere testimoni di un umanesimo di cui possiamo essere fieri, un umanesimo che può essere attraente e persuasivo anche per la nostra società così spesso incline allo scoraggiamento, alla rabbia, al risentimento. Siamo luce e ci comportiamo come figli della luce, come un’umanità riconciliata».
«Noi continuiamo a raccontare le nostre miserie, con tante guerre, tanti episodi contemporanei, ma in queste situazioni che si ripetono nella vicenda umana, i discepoli continuano ostinatamente, sapientemente, coralmente a costruire la pace, in casa e fuori casa, nella società e negli ambienti, tra le nazioni e i popoli».
don Daniele
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Opera: La predicazione di San Paolo a Efeso – Eustache Le Sueur – olio su tela – 1649 – Museo del Louvre, Parigi

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