Qualche giorno fa, l’Arcivescovo Mario ha celebrato il centenario della chiesa parrocchiale in una grande città della nostra Diocesi: sostituiamo “comunità parrocchiale” a “chiesa parrocchiale” e troveremo spunti interessanti per la nostra vita, per il nostro essere Chiesa nel mondo di oggi.
Un popolo, una civiltà rassegnata al declino, celebra gli anniversari come ricorrenze propizie per la nostalgia, per guardare indietro e ricordare le grandi cose compiute. La gente rassegnata al declino coltiva memoria grata delle persone da cui ha ricevuto tanto bene e si rammarica che oggi persone così non ce ne siano più: “i preti di una volta, le famiglie di una volta”.
Sembra di incontrare dappertutto gente rassegnata al declino. Forse respira l’aria che tira: i numeri diminuiscono, non c’è traccia di entusiasmo, i discorsi sono spesso lamenti e stimoli sul “si dovrebbe”, “dobbiamo”, c’è il sentimento diffuso di non riuscire, di essere caricati di pesi insostenibili, mentre “siamo sempre quelli, sempre di meno, sempre più vecchi”. La gente rassegnata al declino ricorda volentieri “come eravamo…!”.
Coloro che credono nel Signore e ascoltano la sua parola, anche tra gente rassegnata al declino, formano un popolo nuovo, un popolo ispirato dalla promessa rivelata dal Signore Gesù che annuncia il Regno che viene. Il popolo ispirato dalla promessa prega tutti i giorni e sospira il compimento: venga il tuo regno!”.
Come vive il popolo ispirato dalla promessa del Regno? Anzitutto l’opera di Dio. Il popolo credente vive perché è reso partecipe della vita di Dio, rimane unito a Gesù, perché senza di lui non può fare nulla: non può pensare, non può sperare, non può amare. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù. Desideriamo che venga il Regno di Dio perché crediamo alla promessa di Gesù; pratichiamo il comandamento di Gesù perché professiamo la nostra fede in lui, via, verità e vita. Chi dimora in Gesù dimora nello stupore, canta il cantico della riconoscenza e della lode, ascolta con docile intelligenza la parola di Gesù, è animato da speranza invincibile e da una lieta e sapiente fiducia.
E poi la stima di sé. Insieme con la tendenza alla presunzione, si diffonde la tendenza alla rassegnazione: “Non siamo capaci, non siamo abbastanza, le forze del male sono troppo, troppo potenti…”. Ci sono discepoli che si rassegnano. Si rassegnano all’allontanarsi di molti da una visione di fede, si rassegnano alla guerra, si rassegnano al fallimento dell’opera educativa, si rassegnano a tutte le forme di dipendenza e schiavitù umilianti per gli uomini e le donne.
Ma noi siamo preparati per ogni opera buona. Non per il successo, ma per la semina. Siamo stati preparati dall’opera di Dio, possiamo esserne fieri, possiamo avere stima di noi stessi. E il frutto della fraternità. In un contesto in cui l’individualismo isola e molti semi di inimicizia dividono i popoli e generano tragiche guerre, i discepoli costruiscono comunità, non considerano nessuno lontano o straniero, cercano la comunione, costruiscono la “Chiesa dalle genti”.
Non possiamo quindi essere come gente rassegnata al declino, ma come discepoli che sono in missione in questo luogo e in questo tempo.
don Daniele
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Opera: Testamento e morte di Mosè – Luca Signorelli – 1482 – affresco – Cappella Sistina

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